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Tra gli Indiani e Berlinguer

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Chiude l’Unità
 
Negli anni ’50 e ’60 mio padre portava a casa ogni giorno L’Unità. Dopo il ’68 lessi altri giornali, e L’Unità mi divenne sempre più antipatico, poi il movimento del 1977 ebbe nell’Unità un avversario, spesso sleale. Quel giornale attaccò il movimento di studenti ed emarginati fino ad  accusarlo di squadrismo. Diffamò le avanguardie operaie che alla Fiat al Petrolchimico e all’Alfa cercavano di dare alle lotte operaie una direzione radicalmente anticapitalista.
 
Oggi quel giornale non esiste più.
Ha chiuso perché la sconfitta generale del movimento operaio ha disaffezionato i suoi lettori che sono rimasti pochi, almeno a paragone del milione di lettori che aveva negli anni in cui mio padre ne era diffusore. Ha chiuso perché la classe politica ignorante liberista e autoritaria che  oggi dirige il partito democratico vuol cancellare le tracce del passato. La chiusura di quel giornale provoca in me un sentimento di tristezza immensa: un mondo che potevo capire, con cui potevo interagire polemicamente è cancellato da un mondo opaco che non è più comprensibile secondo le categorie della lotta di classe, ma neppure secondo le categorie della democrazia e della razionalità politica, e forse neppure secondo le categorie dell’umanesimo e dell’umanità.
 
Non rimpiango L’Unità che nel 1977, seguendo un copione classicamente stalinista accusò me e migliaia di intellettuali operai e studenti di essere provocatori, come non rimpiango il movimento cui partecipai in quegli anni. Né L’Unità né il movimento autonomo seppero anticipare e interpretare praticamente la trasformazione che si stava determinando nel rapporto tra operai e capitale, e tra società tecnologia e potere.

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